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A Mel Gibson regista non gli si può dire niente. L’abbiamo sempre saputo, da quando nel 1993 consegnò il suo primo gioiello dal titolo L’uomo senza volto, che in realtà era solo un piccolo e delizioso antipasto; l’esplosione sarebbe avvenuta due anni dopo con Braveheart a cui seguì il trionfo che noi tutti sappiamo. Poi due film controversi come La passione di Cristo e Apocalypto, e a seguire violenze domestiche e dichiarazioni antisemite che gli sono costate le porte chiuse di Hollywood. Nemmeno la nuova vita da villain cinematografico vista ne I mercenari 3 e Machete kills ha avuto i risultati sperati sotto il profilo degli incassi; invece il ritorno alla regia a dieci anni da Apocalypto pare aver riportato Gibson sulla retta via, tanto che la sua ultima opera ha portato a casa sei nomination agli Oscar, tra cui Miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista.

Gibson dimostra ancora una volta di conoscere la ricetta giusta per rendere un film epico.
Certo, i suoi film da regista non hanno mai brillato per complessità di trama o approfondimento psicologico dei personaggi, ma nelle scene d’azione e durante le vicende umane, Gibson sa dove mettere la macchina da presa.
Le scene di guerra sono forse le più crude e realistiche mai viste al cinema; avete presente i primi venti minuti di Salvate il soldato Ryan? Ecco, se li estendete ad un’ora e mezza abbondante, tenendo conto che diciotto anni fa non c’erano gli stessi mezzi, forse riuscirete a farvi un’idea di quello che vedrete.

Gli attori tutti convincenti, a partire dal sempre più lanciato Andrew Garfield, visto di recente in sala con il bellissimo Silence di Martin Scorsese. Qui interpreta il protagonista Desmond Doss al quale l’attore riesce a restituire la forza d’animo, il coraggio, la determinazione e la solida fede che contraddistinguevano Doss.
Garfield ha avuto modo di rifarsi dopo la delusione avuta con Spider Man, lavorando con due dei migliori registi contemporanei in due grandi film.
Potrebbe essere l’occasione buona per portare a casa la statuetta, anche se il favorito pare sia Ryan Gosling. Ma non è ancora detta l’ultima parola.

Nel cast troviamo anche Hugo Weaving nei panni del padre di Garfield, ex soldato della prima guerra mondiale, ora fantasma di sé stesso, vittima dell’alcool che versa sulle tombe dei suoi ex commilitoni.
Sam Worthington interpreta il capitano Glover mentre Vince Vaughn è il colonnello Howell.
A quest’ultimo sono riservati dei momenti inaspettatamente divertenti grazie a battute argute e fulminanti.
E infine la bellissima Teresa Palmer, nei panni di Dorothy, l’infermiera che fa innamorare Doss e che diventerà sua moglie.

Nonostante sia l’unico film di Gibson regista (insieme a L’uomo senza volto) ad essere ambientato in un periodo abbastanza recente (battaglia di Okinawa, 1945) troviamo ancora una volta tutti gli elementi tanto cari alla sua poetica: violenza e sacrificio.
Quest’ultimo elemento trova il suo apice in una delle scene finali, quando Doss viene calato da una fune per essere portato in salvo, e l’inquadratura del suo corpo rivolto verso il cielo ce lo fa apparire come un nuovo Gesù Cristo sceso in terra per portare salvezza.

La battaglia di Hacksaw Ridge è un film da vedere, e come tutte le opere da regista di Mel Gibson, tutto si può dire ma non che sia un’operazione anonima.
Il film rimane impresso ed è destinato ad essere ricordato come uno dei film di guerra più belli del nuovo millennio. Anzi, forse il migliore.
Una differenza che ho notato con le altre pellicole belliche, è proprio l’estrema crudezza e realisticità. Normalmente nei film l’azione segue il protagonista e sembra che sia la guerra a seguire quest’ultimo, e che tutto sia in funzione delle gesta dei protagonisti; qui invece la battaglia non lascia tregua, va per conto suo seguendo spietatamente il suo corso senza pietà.
E probabilmente è quello che avviene durante una vera battaglia.

Bentornato Mel.

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Uno scatto del regista Mel Gibson durante le riprese.