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Tra la fine di agosto e la metà di settembre ho pubblicato dei post dedicati ai film simbolo di ogni anno, prendendo in considerazione i decenni dagli anni ’90 agli anni ’20.
Per gli anni dieci del novecento vorrei tentare un approccio diverso; non proporre un film per anno ma scrivere di quei film che hanno segnato maggiormente quel decennio, perché come vedremo è stata una decade di grandi cambiamenti e quindi trovo più opportuno valutare l’impatto che hanno avuto certe pellicole in quegli anni che non scegliere solo un titolo per anno.
I film di questi anni fanno parte di quella corrente conosciuta come “Cinema delle origini”, e come vedremo anche il cinema italiano ha saputo imporsi oltre i confini nazionali.

Una delle figure più importanti degli anni Dieci è certamente David Wark Griffith.
Griffith si affaccia al cinema nel 1907 dopo una carriera teatrale.
Egli in pochi anni avrebbe rivoluzionato il modo di fare cinema ed è considerato l’inventore di quasi tutte le principali tecniche cinematografiche. In realtà dopo il convegno di Brighton, tenutosi nel 1978, nel quale vennero visionati 600 film tra il 1906 e il 1908, si scoprì che Griffith non ha inventato i procedimenti tecnici di cui gli è stata attribuita la paternità. Egli quindi non ha inventato quelle tecniche ma ne ha fatto un uso nuovo.

Il film più famoso e studiato di Griffith è senza dubbio Nascita di una nazione, del 1915; uno dei primi esempi in cui il nuovo stile di narrazione cinematografica dimostra di poter reggere senza difficoltà un racconto lungo e complesso catturando il pubblico per più di tre ore.
Il film stupisce per la capacità di Griffith di gestire una quindicina di personaggi principali, per la ricchezza di idee visive, il montaggio e la capacità di mescolare storie individuali a eventi di massa.
Nascita di una nazione però contiene un messaggio fortemente reazionario e razzista.
Praticamente il messaggio del film è che il sud degli Stati Uniti, dopo la guerra di secessione sarebbe stato salvato dall’anarchia grazie al Ku Klux Klan.
Il film ha un enorme successo ma genera numerose proteste da parte delle associazioni per i diritti civili e le comunità afroamericane.
Nascita di una nazione viene citato più volte nell’ultimo film di Spike Lee, BlacKKKlansman, che io consiglio vivamente di vedere.

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Una scena di Nascita di una nazione, di David W. Griffith

Ora facciamo un salto indietro al 1913, considerato uno degli anni più importanti dell’intera storia del cinema. Escono, infatti, una serie di film importanti come Germinal, di Albert Capellani, Lo studente di Praga, di Stellan Rye e Paul Wegener, Ingeborg Holm, di Victor Sjostrom.

Il cinema italiano invece propone due film che sono considerati capofila dei generi che caratterizzeranno i suoi anni d’oro: Ma l’amore mio non muore!, diretto da Mario Caserini inaugura il cinema delle grandi dive, mentre Quo vadis?, di Enrico Guazzoni, inaugura il filone storico destinato a stupire il mondo.
Guazzoni meglio di tutti comprende le potenzialità dello spazio cinematografico, dando vita a scene di massa spettacolari mai viste prima.

A portare a termine i presupposti contenuti in Quo vadis? È Cabiria, di Giovanni Pastrone, uscito nel 1914. Cabiria è il film muto italiano più importante e più famoso.
Pastrone era uno dei dirigenti della casa di produzione Itala Film, e questo gli concede una libertà creativa non indifferente. Per offrire alla pellicola maggior prestigio, Pastrone chiede a Gabriele D’annunzio, il più grande poeta italiano vivente e modello del “vivere inimitabile” in voga in quegli anni, di inventare i nomi dei personaggi e scrivere le didascalie.
L’idea di Pastrone era quella di apporre al film un “marchio” culturale tanto prestigioso da guadagnare il favore dei critici più esigenti.
Il personaggio che conquista il cuore del pubblico è Maciste, protettore dei deboli, interpretato da Bartolomeo Pagano, scaricatore di porto dal fisico possente.

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Scena tratta da Cabiria, di Giovanni Pastrone

Fino al 1911 in Italia il genere dominante erano le comiche, spesso interpretate da attori francesi emigrati in cerca di fortuna. L’esempio più fulgido è senza dubbio Andreè Deed, più noto come Cretinetti, ingaggiato dalla Itala Film come protagonista di una serie di brevi film di scatenata comicità. Visto il successo, scatta l’emulazione. Ferdinand Guillaume è Polidor, Marcel Fabre diventa Robinet, che nel 1911 interpreta Robinet innamorato di una chanteuse.

Il 1914 vede l’esordio del grande Charlie Chaplin con la comica Charlot giornalista. Qui però Chaplin non indossa ancora i panni del personaggio che tutti conosciamo; saranno invece i due cortometraggi successivi Charlot ingombrante e Charlot all’hotel, a far conoscere al mondo la maschera di Charlot.

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Charot all’hotel (1914)

Prima abbiamo accennato al cinema delle grandi dive, nato nel 1913 con L’amore mio non muore! Di Mario Caserini; ebbene vorrei citare almeno tre attrici italiane che hanno contribuito a rendere il fenomeno del divismo femminile diffuso.
Lydia Borelli, la bellissima protagonista del film di Caserini. Ella non poteva contare sulla voce calda e profonda che a teatro era il suo punto di forza. Decise quindi di puntare tutto sul linguaggio del corpo.
Pina Menichelli, scoperta da Pastrone che ne fa l’eroina in due film di stampo dannunziano: Il fuoco (1915) e Tigre reale (1916). I personaggi della Menichelli sono donne fatali e misteriose, che la rendono la principale artefice del “cinema isterico” che colpirà l’immaginario di Salvador Dalì.
La terza grande diva italiana è Francesca Bertini, protagonista di Assunta Spina (1915).
La Bertini viene dal teatro dialettale e rappresenta la donna del popolo che ride a bocca aperta e si pulisce le mani sul grembiule, senza perdere nulla del suo fascino.
La prima grande diva del cinema però non è italiana, ma danese: Asta Nielsen, giunta al successo nel 1911 con L’abisso, di Urban Gad.

Merita qualche riga anche Eleonora Duse che, quando decide di interpretare il suo primo film, ha già sessant’anni. Cenere (1916) di Febo Mari, rivela la modernità recitativa acquistata dalla grande attrice, caricando di intensità ogni gesto e mostrando chiaramente il volto solo nell’ultima inquadratura quando Rosalia, personaggio da lei interpretato, è ormai senza vita.

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Eleonora Duse in Cenere (1916) di Febo Mari

Nel 1916 l’entrata in guerra dell’Italia sancisce la fine dell’epoca d’oro del cinema italiano.
La stampa dell’epoca accusa le dive, ree di chiedere compensi esosi, ma la realtà è da cercare altrove. La spinta creativa del cinema italiano è finita.
Negli anni Venti sono pochissimi i titoli italiani degni di nota (infatti nel post dedicato agli anni Venti abbiamo visto come il cinema italiano fosse ridotto al lumicino).

Con questo post abbiamo fatto un viaggio nel cinema degli anni Dieci. Forse non abbiamo visto tanti film come i post precedenti, ma abbiamo visto come certi titoli siano stati fondamentali per la storia del cinema e abbiano influenzato tutto ciò che è venuto dopo.
Spero che questa serie di post, in cui ho esaminato nove decadi della storia del cinema, vi sia piaciuta e vi abbia invogliati alla visione dei tanti capolavori che ho menzionato.

La mia voglia di viaggiare nel mondo del cinema di certo non si esaurisce qui.
Ci sono ancora tantissime cose di cui voglio scrivere e non vedo l’ora di condividerle con voi.
Per adesso vi ringrazio di avermi seguito e non vedo l’ora di rispondere ai vostri commenti per scambiarci le opinioni su questi film.

A presto…