Continua il nostro viaggio alla scoperta della discografia di Bruce Springsteen.
Oggi tocca al sesto album in studio Nebraska, uscito nel settembre del 1982.
L’album si distingue per le sue atmosfere acustiche essendo suonato interamente da Bruce accompagnato semplicemente da chitarra acustica e armonica. Impresa alquanto rischiosa, ma il tempo gli ha dato ragione.
The river, uscito due anni prima, è stato l’album che ha consacrato Springsteen anche fuori dai confini nazionali e il tour che era seguito all’album aveva fatto sì che il boss venisse visto come salvatore del rock ‘n’ roll. Terminato il tour Bruce decide di passare un periodo in solitudine durante il quale registrerà su un registratore a quattro piste delle nuove canzoni.
Bruce non è molto convinto dai provini fatti con la band perché sembra che non si riesca a trovare una giusta dimensione per le canzoni. Lui stesso arriverà ad ammettere che le canzoni che aveva scritto suonavano diverse da qualsiasi cosa avesse scritto in passato e lui per primo stava cercando di capire di cosa si trattava.
Alla fine riuscì a convincere la Columbia a prendere la decisione più rischiosa. Pubblicare le canzoni così come erano state concepite, cercando di ripulirle il più possibile dai fruscii e rumori dovuti alle registrazioni casalinghe.
Ne escono fuori dieci canzoni che narrano di un’America allo sbando, violenta e senza possibilità di redenzione. Sono le canzoni più pessimiste che Bruce abbia mai scritto e il potere letterario dei testi è incredibilmente forte. Si tratta di dieci storie che potrebbero tranquillamente essere viste come trame di un film, tant’è che Highway patrolman servirà da spunto per il primo film da regista di Sean Penn Indian runner, in Italia maldestramente tradotto come Lupo solitario.
Le influenze cinematografiche sono numerose, una su tutte Badlands di Terence Malick, pellicola del 1973 tradotta in Italia come La rabbia giovane.
Bruce trarrà spunto dalla trama per incidere la title track dell’album, in cui si narra di una coppia di giovani che commettono omicidi senza un motivo particolare se non combattere la noia e divertirsi un po’.
L’album si apre con dei lievi arpeggi di chitarra che fanno da tappeto sonoro a una storia tragica, che arriva al cuore come una coltellata imprevedibile.
Alcuni episodi sono strettamente biografici, come My father’s house in cui Bruce torna a parlare del padre e dell’incompiutezza del loro rapporto. Oppure la stupenda Used cars in cui si delinea un’infanzia semplice e sognante attraverso gli occhi di un bambino che vede i propri genitori faticare per arrivare alla fine del mese, il tutto visto dal sedile posteriore di una macchina usata con la speranza di vincere la lotteria per poter comprare un’auto nuova.
L’immaginario di Springsteen è rimasto lo stesso: le automobili, le raffinerie, passerelle sul lungo mare, case sulla collina, ma sono cambiati i contorni psicologici dei personaggi.
In Johnny 99 il protagonista perde la ragione dopo aver perso il posto di lavoro e viene condannato all’ergastolo. In Highway patrolman vediamo due fratelli agli antipodi: uno tutore della legge, l’altro criminale reduce di guerra. Il vincolo di fratellanza è descritto in maniera magistrale e la versione live tratta dal Live in Dublin riesce a conferire quel tocco di malinconia in più.
In State trooper vediamo un tizio allo sbando che prega il poliziotto di non arrestarlo. Alcuni versi li ritroviamo nella più spensierata Livin’ on the edge of the world, contenuta in Tracks.
Nonostante le storie drammatiche, l’album si chiude con una punta di ottimismo grazie a Reason to believe, che narra di una serie di situazioni che hanno come punto in comune il fatto che alla fine di ogni giornata difficile, la gente deve trovare qualcosa in cui credere.
È lecito domandarsi come sarebbero state queste dieci perle suonate con la E Street band. Forse oggi non saremmo qui a parlarne e il percorso artistico del boss sarebbe tutt’altra cosa. C’è da dire, però, che le esecuzioni full band proposte negli anni a venire si sono rivelate delle vere e proprie bombe. Basta pensare alla più celebre di tutte Atlantic city, proposta full band prima durante il tour del ’92-’93 con “L’altra band” e poi durante il reunion tour. Una ballata elettrica di una potenza devastante. Ma anche Mansion on the hill durante il medesimo tour del 1999 fu riarrangiata come una ballata country risultando dolce e toccante.
Oppure Johnny 99, eseguita spesso durante il Working on a dream tour nel 2009, trasformata in un trascinante rock ‘n’ roll.
E come dimenticare la versione di Open all night eseguita durante il tour del 2006 con la Seeger session band? Una scatenata e irresistibile ballata folk durante la quale era impossibile stare fermi.
Anche State trooper e Reason to believe hanno avuto il loro momento durante il Magic tour tra il 2007 e il 2008. Per quanto riguarda la seconda, ho avuto la fortuna di ascoltarla a Milano nell’ottobre 2007 in una versione blueseggiante che mi aveva colpito, specialmente l’intro eseguita con un’armonica distorta.
Per concludere consiglio vivamente l’ascolto di questo album per scoprire un lato di Springsteen meno popolare ma assolutamente significativo. Se siete già a buon punto con la sua discografia vale sicuramente la pena recuperare questo capolavoro, altrimenti iniziate con qualcosa di più accessibile.
Il nostro eroe sentirà l’esigenza di tornare su atmosfere acustiche almeno una volta ogni dieci anni e succederà nel 1995 con The ghost of Tom Joad e nel 2005 con Devils & dust.
Ma tra i tre lo scettro spetta a Nebraska poiché si tratta del lavoro più sincero e genuino che al contrario degli altri due lavori non strizza l’occhio a esigenze commerciali.
Vi propongo di seguito la tracklist e vi do appuntamento a settimana prossima con l’album Born in the Usa.
- Nebraska
- Atlantic city
- Mansion on the hill
- Johnny 99
- Highway patrolman
- State trooper
- Used cars
- Open all night
- My father’s house
- Reason to believe
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Bella Recensione! Complimenti! Hai centrato in pieno l’anima di questo album ormai entrato nella storia.
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Grazie per le belle parole. È uno di quegli album che se ti metti ad ascoltarlo con davanti i testi può essere davvero emozionante.
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Inutile aggiungere nulla sul disco, hai scritto tutto , magistralmente, tu: la genesi sofferta, l’incisione domestica, i rimasticamenti poco riusciti con la band, la decisione (su cui pesò molto il parere di Little Steven) di pubblicare l’album così.
In realtà le home-session durante le quali furono incise le canzoni di Nebraska diedero la luce anche a molti dei brani che poi finiranno su BITUSA: la title track, glory days, darlington county, mi pare pure my hometown. Di qui si spiega il pessimismo meno caustico ma comunque potente che impregna anche BITUSA, album prossimo a Nebraska per tematiche e liriche ma lontanissimo musicalmente (è forse il disco più pop mai realizzato dal Boss).
Comunque Nebraska è una pietra miliare, un disco favoloso con delle liriche mozzafiato: praticamente son 10 poesie.
Già che ci sono me lo vado a riascoltare 😀
PS: la reason to believe a milano nel 2007 l’ho sentita pure io!! Deliziosa. Tra l’altro una versione praticamente identica è contenuta nel live in hyde park del 2010.
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Infatti su YouTube si trovano un sacco di incisioni acustiche, tra cui la stupenda Vietnam. Ho il Dvd di Hyde park ma Reason to believe non c’è 😦
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scusa, mi son sbagliato con johnny99…
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Bellissima. Che bomba, davvero.
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Ottimo approfondimento, molto molto accurato 🙂
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