Born-to-Run-Bruce-SpringsteenContinua il nostro viaggio alla scoperta della discografia di Bruce Springsteen.
Oggi tocca al terzo album in studio, quel capolavoro leggendario di Born to run.
Siete pronti? Cominciamo…

Bruce Springsteen nel 1974 era reduce da due album accolti bene dalla critica ma non dal pubblico, quindi si trovava ad un bivio, il cosiddetto “O la va o la spacca”. Il terzo album doveva essere quello della consacrazione altrimenti addio sogni di rock ‘n’ roll. Sappiamo tutti come andò, e per fortuna andò così.
Nell’agosto del 1975 uscì il capolavoro che avrebbe ridefinito il concetto di rock ‘n’ roll: Born to run.
Otto canzoni tra le più celebri del repertorio del boss, che ancora oggi vengono suonate nei concerti.
39minuti e 38secondi di pura magia, un album rock entrato giustamente nella storia, un disco che anche se non siete fan del boss non potrete negarne la bellezza.
Ricordo ancora quando mi avvicinai all’album: ero ragazzino, andavo alle superiori. Doveva essere il 2004 o giù di lì, quando in un pomeriggio di noia vidi in tv uno speciale su Springsteen. Quando partirono le note di Born to run la mia percezione del mondo cambiò. Fu come vedere la strada davanti casa mia alzarsi e prendere il volo. Una sensazione incredibile. Quel rullo di batteria iniziale seguito da chitarra, tastiera e sax, il suono che ha reso grande la E Street Band, e poi quel verso iniziale che potrebbe fare invidia a chiunque si sia mai approcciato alla scrittura di testi: “Di giorno sudiamo sulle strade di un sogno americano che fugge via”. Ecco, la forza e la poetica di Springsteen stanno tutte lì. In quei versi potenti e diretti.

Questo album ci dimostra che a volte le parole sanno essere anche più forti di un rullo di batteria o un assolo di chitarra. Decisi così che nei giorni successivi avrei usato i miei risparmi da studente per comprare l’album. Quel pomeriggio ero a casa di un amico, uno di quelli che a livello di connessione internet era avanti anni luce rispetto a me, e scaricava canzoni e film come accendere una lampadina. E così gli chiesi di scaricare un paio di canzoni contenute in quell’album, per sapere a cosa sarei andato incontro. Ricordo ancora la magia di quei giorni; sento ancora il profumo di quelle giornate di primavera che timidamente si affacciano all’estate. Quel sole timido che ti scalda e quell’aria leggera che ti accarezza dolcemente. Fu così che dalle casse del computer partirono le note di Thunder road. E lì il mondo tutto d’un tratto mi sembrava un posto migliore. La mia vita mi sembrava fantastica grazie a quelle note. Avrei voluto ringraziare il signore di avermi concesso questa vita e questa epoca solo per avermi dato il privilegio di ascoltare quelle note. Successivamente corsi in centro Milano e acquistai il cd. Una volta tornato a casa misi su il disco e non ci sono parole per descrivere l’emozione che provai.
Un disco rock che si apre con un’armonica e un pianoforte dice tutto sulla sua forza. Thunder road è forse la miglior canzone di Bruce Springsteen perché c’è tutto. C’è la band in tutto il suo splendore: Roy Bittan al pianoforte, Max Weinberg alla batteria, Danny Federici all’organo, Garry Tallent al basso, lo stesso Springsteen alla chitarre e armonica e poi lui, Clarence “Big man” Clemons, che chiude magicamente Thunder road con un assolo di sax. E poi c’è la potenza lirica, non una strofa fuori posto e nessun ritornello a interrompere il patos.
Poi si prosegue col ritmo r ‘n’ b di Tenth avenue freeze out, episodio divertente che nei concerti più recenti veniva proposta in chiusura per omaggiare Big man. Night si apre in maniera potente sostenuto da chitarre e sax, mentre con Backstreets si torna al pianoforte in apertura. È strano pensare come un album rock possa essere stato composto prevalentemente al pianoforte. Sì perché le canzoni nacquero principalmente al piano, con Bruce che scrisse la base musicale e successivamente Roy Bittan mise in bella copia quelle note. Backstreets è quindi un altro dei vertici springsteeniani in cui si torna a parlare di amicizia, sogni, estate e perdita dell’innocenza.

Il lato b si apre con la leggendaria title track. Punto forte e presenza immancabile delle performance live. Ciò che ha reso grande questa canzone, e anche l’album in generale, sono soprattutto le esecuzioni dal vivo. Il “stop and go” della canzone, in cui sembra chiudersi per poi riprendere poderosamente con un verso potente come “Le autostrade sono piene di eroi falliti con la marcia ingranata su un’ultima possibilità” è un momento che nei live trova uno dei suoi vertici.
A seguire troviamo She’s the one, una ballata che inizia con la voce di Springsteen accompagnata dal pianoforte per poi esplodere in arpeggi di chitarra e assolo di sax.
Le acque si calmano con Meeting across the river, una ballata per pianoforte, fisarmonica e archi. È forse la traccia meno conosciuta dell’album ma non per questo inferiore. Presa singolarmente potrebbe non spiccare, ma inserita nell’album come penultima traccia si rivela essere piuttosto azzeccata.
A chiudere troviamo un altro capolavoro. Una cavalcata rock tra le più potenti e gloriose della storia: Jungleland. Nove minuti e trentacinque secondi di magia senza mezzi termini. Pianoforte e violino accompagnano l’entrata di questa splendida canzone. Una palla di neve che rotola e si ingrandisce sempre di più, ecco questo è Jungleland. A meta canzone troviamo uno splendido assolo di sax della durata di quasi tre minuti che ti porta in un’altra dimensione. Purtroppo non ho mai avuto la fortuna di ascoltarla live anche se ci sono andato molto vicino. Nel 2013 acquistai i biglietti per San Siro e Padova ma andai solo a Milano, data in cui fu eseguito per intero l’album Born in the Usa. A Padova invece fu eseguito per intero Born to run, anche se il resto della scaletta si rivelò essere piuttosto standard. Potete immaginare quindi la mia rabbia. Ad ogni modo ogni tanto rivedo su dvd le esibizioni tenute a New York e ad Hyde park. Consiglio di recuperarle.

Per concludere posso dire che se siete fan del boss di sicuro sarete già in possesso di questo album e questa mia recensione è solo un punto di vista in più che si mescola ai fiumi di inchiostro che già sono stati versati. Se invece non siete fan di Bruce ma amate il rock, questo album deve per forza aggiungersi alla vostra collezione, perché farà la sua porca figura. Più ancora del più celebre Born in the Usa.
Se non avete ancora ascoltato questo album correte a farlo, e poi ascoltate le versioni dal vivo. E vedrete, il mondo vi sembrerà un posto migliore.

Vi propongo di seguito la tracklist e vi do appuntamento a settimana prossima con Darkness on the edge of town.

  1. Thunder road
  2. Tenth avenue freeze out
  3. Night
  4. Backstreets
  5. Born to run
  6. She’s the one
  7. Meeting across the river
  8. Jungleland